L’adozione cd. mite è un’estensione della l. 184/1983 –art.44, comma 1, lett. d) -prevista dall’ordinamento italiano. È applicabile laddove sussista la condizione di “semiabbandono del minore” e quando il ricorso dei genitori biologici del minore dichiarato in prima istanza adottabile, venga accolto. Il Consulente è solitamente chiamato a valutare la sussistenza o meno del legame affettivamente significativo tra il minore e la sua famiglia d’origine, e se il mantenimento di tale legame sia positivo per lo sviluppo psico-fisico del minore, o se invece possa essere pregiudizievole. Il CTU è dunque chiamato a valutare non solo la sussistenza del legame, ma anche il tipo di legame sussistente. Oltre alla valutazione degli atti e, attraverso questi, la valutazione del tipo di legame instauratosi tra le parti coinvolte (funzionale/disfunzionale dal punto di vista emotivo-affettivo e relazionale), il Consulente dovrà indagare lo stato psico-fisico del genitore biologico che richiede di proseguire il rapporto con il figlio.
Il Consulente dovrà espletare la CTU avendo come unico centro l’interesse supremo del minore, tenendo conto degli esiti di sviluppo che la condizione di vulnerabilità e, spesso di abbandono, comportano: le traiettorie evolutive possono infatti compromettere lo stato psico-fisico del bambino in termini cognitivi, emotivo-affettivi e relazionali. È necessario che il Consulente abbia una metodologia il più strutturata e scientifica possibile: tecniche e strumenti (colloquio e reattivi mentali) che possono approfondire le condizioni intrapsichiche e interpersonali del minore, devono essere supportati dall’esperienza professionale in ambito clinico e giuridico, al fine di preservare il superiore interesse del minore.
L’adozione “mite” non è espressamente disciplinata dalla legge, ma la sua applicazione è stata di fatto realizzata per l’interpretazione estensiva che il Tribunale dei minorenni di Bari ha dato dell’Adozione in casi particolari art. 44, comma 1, lett. d) l. 184/1983, sotto forma di sperimentazione in tutti i casi in cui si verifichino speciali condizioni (la famiglia del minore è -anche parzialmente
insufficiente rispetto ai suoi bisogni, e tuttavia svolge un ruolo ancora attivo che non appare opportuno venga interrotto totalmente. È inoltre necessario verificare se non vi sia alcuna ragionevole probabilità di prevedere per il futuro un miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo ruolo). Nel momento in cui l’accertamento di tale presupposto (solitamente attraverso una C.T.U. per la verifica dello stato di abbandono) dia esito negativo, la situazione rappresenta una ulteriore premessa per l’applicazione dell’adozione “mite”, come la circostanza in cui il minore risulti sostanzialmente abbandonato e si trovi ancora in affidamento familiare. Se a tale circostanza si accompagna un’impossibilità di rientrare nella famiglia di origine per il perdurare dello stato di difficoltà e di disagio iniziali, la situazione che si presenta non pare corrispondere ad alcuna specifica previsione normativa, se non interpretando in modo più elastico ed estensivo la legge vigente, al fine di realizzare una concreta tutela del minore. Pertanto, da un punto di vista giuridico, l’adozione “mite” viene qualificata come una variante dell’adozione in casi particolari, alla quale si avvicina più di ogni altro istituto. Altra situazione giuridica in cui è possibile che si realizzi l’Adozione in casi particolari, cd. “mite”, è il caso in cui, emanata sentenza di adottabilità del minore dal Tribunale per i minorenni, i genitori biologici del bambino ricorrano in Corte d’Appello impugnando tale sentenza. Presa visione del ricorso, la Corte incarica il Consulente tecnico d’ufficio di accertare la sussistenza o meno di un legame significativo e funzionale tra il minore e la sua famiglia d’origine.
È quindi evidente che ogni vicenda presenta una storia procedurale e psichica esclusive, in cui il giudice dovrà singolarmente valutare se sussistano o meno i presupposti per un provvedimento di adottabilità del minore, ai sensi della l. 149/2001, o, in alternativa, per un provvedimento che disponga l’adozione “mite”.
Il Consulente è chiamato a valutare non solo la sussistenza del legame, ma anche il tipo di legame sussistente: la CTU prevede infatti il quesito secondo cui potrebbe essere pregiudizievole o meno il mantenimento del rapporto genitore biologico- figlio, anche a distanza di alcuni anni dalla sua interruzione. Per farlo, egli non può prescindere dalle conseguenze psicologiche che alcuni tipi legami possono determinare.
Oltre alla valutazione degli atti e, attraverso questi, la valutazione del tipo di legame instauratosi tra le parti coinvolte (funzionale/disfunzionale dal punto di vista emotivo-affettivo e relazionale), il Consulente dovrà indagare lo stato psico-fisico del genitore biologico che richiede di proseguire il rapporto con il figlio. Di preminente valore in questo contesto è valutare non solo la personalità del soggetto, ma anche la natura psicologica della sua richiesta.
È imprescindibile per il Consulente che deve valutare la sussistenza del legame funzionale tra il minore e la sua famiglia d’origine a posteriori (caso in cui la C.T.U. venga disposta dalla Corte d’Appello e dunque successiva all’interruzione dei rapporti b.no – genitori biologici), valutare lo stato psicologico del minore che abbia fatto esperienza dello stato di abbandono: esposizione prenatale a sostanza, abusi, trascuratezza, collocamenti multipli, istituzionalizzazione.
L’accertamento in sede peritale che coinvolge il minore deve considerare la conoscenza dei fattori determinanti lo sviluppo evolutivo, delle sue tappe e delle incidenze psicopatologiche che possono interferire in questo sviluppo. La valutazione dello stato psico-fisico del minore è, ancor più in una Consulenza tecnica, estremamente importante. Proprio per questo è necessario che il Consulente abbia una metodologia il più strutturata e scientifica possibile: tecniche e strumenti che possono approfondire le condizioni intrapsichiche e interpersonali del minore, devono essere supportati dall’esperienza professionale in ambito clinico e giuridico. È di forte rilevanza l’aspetto metodologico nella CTU in caso di valutazione dell’adozione “mite”: il consulente è chiamato a valutare lo stato psico-fisico del minore nell’ hic e nunc, ma anche in termini prospettici, allorquando deve valutare se il rispristino di tali legami possa inficiare positivamente o negativamente lo sviluppo del minore stesso. È importante che il Consulente valuti gli aspetti psichici del bambino, al fine di comprenderne i fattori di rischio e di protezione, ponendo sempre al centro l’interesse supremo del minore.
Nonostante le concettualizzazioni riguardanti le connessioni e le interdipendenze del diritto con la psicologia, è tuttavia presente uno scarso riscontro di tali connessioni nella pratica forense. Un approccio inadeguato può coinvolgere la salute psichica, l’educazione e lo sviluppo comportamentale del bambino. È infatti necessario tenere presente che il contatto del bambino con la struttura giudiziaria avviene, in genere, quando ha già vissuto una situazione traumatica, nel contesto familiare o in altri tipi di contesti. In questa situazione di instabilità emotiva del minore, il dovere del professionista è farsi carico di questo dolore e rispondere prontamente ai suoi bisogni.